Il 2024 è stato definito l’anno della crisi dell’automotive così come la conosciamo. L’anno della transizione energetica ormai d’obbligo, del blocco degli acquirenti e delle difficoltà delle case produttrici. E per i concessionari, come sono andati questi ultimi 12 mesi? Lo abbiamo chiesto al presidente Federauto Massimo Artusi.
Il 2024 che anno è stato per l’automotive?
MA: L’anno chiude con un numero di vendite analogo al 2023, quando furono vendute poco meno di 1.600 mila autovetture. Ma quello fu un anno in crescita, con un saldo attivo del 18% che ci aveva fatto sperare di tornare ai livelli precedenti il Covid. Invece non è stato così: alla fine di un anno in altalena – anche per una politica di incentivi tardiva e occasionale – novembre ha fatto segnare un calo a doppia cifra – quasi l’11% – azzerando quindi tutti i benefici che potevano essere scaturiti dal sostegno pubblico. Lo dimostra proprio la struttura delle vendite.
Quanto alle alimentazioni, vanno bene solo le ibride, mentre le elettriche a spina segnano un regresso al 3,5% che sarebbe anche maggiore se non fosse per le auto immatricolazioni dei concessionari, spesso vincolate dai costruttori. Con il noleggio in stallo e l’auto aziendale in leggero calo, chi acquista oggi è il privato che, però, limitato dai prezzi del nuovo, si rivolge sempre di più al mercato dell’usato: il rapporto usato-nuovo ormai è arrivato a 1 a 2. In poche parole, gli italiani continuano ad amare e a volere l’auto, ma non hanno i soldi per comprarla, e anche perché trovano sempre meno modelli economicamente accessibili.
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Ha citato gli incentivi, quanto la loro mancanza ha influito sulle vendite?
MA: Gli effetti degli incentivi sono stati di fatto più che azzerati a fine anno, proprio perché – arrivati in ritardo e isolati da una revisione complessiva della politica per l’auto – hanno contribuito a disorientare il mercato più che a sostenerlo. L’effetto attesa dell’ecobonus, come al solito, prima ha frenato il mercato poi lo ha improvvisamente e per poco tempo dilatato, suscitando qualche illusione. Noi avevamo, però, messo subito in guardia dal troppo rapido esaurimento delle risorse destinate ai BEV.
Non è un caso che oggi registriamo la stasi del noleggio e dell’auto aziendale (peraltro ulteriormente penalizzata dalla nuova bozza di legge di Bilancio per il 2025), che costituiscono una fetta preponderante del mercato. Per questo, più che gli incentivi serve una politica fiscale sull’auto equa e condivisa, che metta ordine nella giungla delle imposizioni che gravano sugli autoveicoli e ridistribuisca più razionalmente il carico fiscale.
La transizione energetica si pone come un blocco per gli acquirenti?
MA: Certamente, per come è stata impostata finora, sconcerta il mercato. Ma oggi sembrano sconcertate anche le politiche degli stati membri dell’Unione europea, molti dei quali – a cominciare dall’Italia – danno segni di insofferenza di fronte all’imposizione tutta ideologica dell’auto elettrica varata dalla precedente Commissione dal precedente Parlamento europeo, sotto la pressione delle lobby del full electric e sciaguratamente accettata dai costruttori (i quali già ne stanno pagando il prezzo con chiusure e allungamento dei programmi).
D’altra parte, di fronte a un quadro locale e globale carico di incertezze per le guerre militari ed economiche in corso, gli stati esitano a farsi carico dei rilevanti costi della transizione, dalla creazione della rete infrastrutturale per le ricariche a un’incentivazione organizzata e funzionale all’acquisto dei veicoli, che però è pur sempre una droga per il mercato. Ultima conseguenza di queste incertezze, per quanto riguarda l’Italia, è il taglio di 4,6 miliardi di euro del fondo automotive 2025-2030 che forse in parte rientrerà, ma che di fato rischia di soffocare i produttori e l’indotto proprio nella fase più delicata della transizione.
In questa situazione la fascia di mercato con minori disponibilità economiche preferisce attendere o comunque restare sulle alimentazioni tradizionali. Dobbiamo solo augurarci che le nuove istituzioni europee rivedano il full electric a favore di un Mix tecnologico che possa sfruttare tutti i vettori Carbon Neutral – compresi i biocarburanti – e che restituisca la neutralità al Green Deal, i cui obiettivi finali non sono in discussione ma necessitano di un approccio più aderente alla realtà. Solo così si potrà restituire certezza al mercato e fiducia agli acquirenti.
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Numerosi brand cinesi sono giunti quest’anno sul mercato. Come sono stati accolti?
MA: I brand cinesi sono stati accolti con favore dai concessionari, anche perché danno a quelli che li hanno scelti la possibilità di ampliare l’offerta, sia di modelli che di prezzi. I clienti, tuttavia, mostrano ancora una certa cautela, ma è un fenomeno comprensibile di fronte a prodotti nuovi di provenienza non sperimentata.
Ma dobbiamo fare attenzione. I dealer che aprono le porte ai modelli cinesi sanno benissimo che in questo modo cedono ai produttori di Pechino un grande know-how e per questo anch’essi si muovono con una prudenza e una visione d’insieme delle problematiche connesse, che noi stessi di Federauto raccomandiamo, affinché anche contrattualmente questa cessione di know-how porti vantaggi decisivi anche alla nostra rete italiana. Altro aspetto ben conosciuto è la necessità di crescita dell’offerta commerciale insieme al post-vendita.
Si è parlato molto di contratti di agenzia, nulla di fatto al momento?
MA: Per ora nulla (o molto poco) di fatto, anche se non riteniamo la questione chiusa e dobbiamo continuare a vigilare. Per noi la libertà imprenditoriale in un mercato libero è un valore che va difeso. E non è solo una questione di principio. Abbiamo visto che là dove c’è stata la trasformazione da concessionario in agenzia i fatturati sono calati e adesso da parte di molte case c‘è un certo ripensamento a forzare la mano in direzione delle agenzie.
Si sta comprendendo, cioè, che la diffusione capillare sul territorio, il rapporto diretto – e continuo – con l’acquirente, le attività di post-vendita mirate, la fidelizzazione del cliente sono dei valori che richiedono un’azione continua e personalizzata che non possono che avere alle spalle un’attività imprenditoriale, che nessun computer si può inventare.
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Aspettative per il 2025?
MA: Il 2025 sarà caratterizzato in maniera determinante dalla posizione che la EC prenderà sulle multe agli OEMS. Nello scenario che ci auguriamo scaturisca dalle decisioni delle nuove istituzioni europee in materia di Green Deal dei trasporti stradali, c’è anche, naturalmente, la revoca di queste salatissime multe per chi non ha realizzato un programma irrealizzabile. Se dovessero rimanere, infatti, le conseguenze sarebbero pesantissime e non solo per i costruttori. Perché questi, per mantenere le percentuali di veicoli zero emissioni in un mercato che non li vuole, saranno costrette ad abbassare le quote di produzione dei veicoli ad alimentazione fossili, quelli cioè che hanno più mercato.
Il che porterà a un ulteriore calo delle immatricolazioni, a un mercato ancora stagnante e a un ridimensionamento delle reti di vendita, con il risultato paradossale che il circolante diventerà sempre più dannoso per l’ambiente. Ma oggi non è facile fare previsione. Gli equilibri mondiali sono in profondo movimento: la guerra dei dazi per l’auto elettrica tra Cina e Stati Uniti chiamano l’Europa a scelte decisive, basate su autonomia e diversità, altrimenti l’Unione rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro. Per capire se avrà imboccato questa strada anziché perseverare in una corsa all’auto a batteria che ci vede sconfitti in partenza, bisogna guardare soprattutto a Berlino, dove a febbraio si svolgono nuove elezioni nelle quali proprio la crisi economica – in particolare dell’automotive – è il convitato di pietra.