Concessionari italiani: la situazione attuale e le prospettive future

Showroom concessionaria

Nel 2007, prima della grande crisi, le concessionarie in Italia erano 2.785. Ora si sono più che dimezzate. Qual è il loro stato di salute, dopo che a tutti i motivi di difficoltà si è aggiunto anche il Covid? E come si può cambiare passo? Lo abbiamo chiesto al presidente di Federauto Adolfo De Stefani Cosentino.

A questo contesto, si aggiunge un mercato in difficoltà, come testimoniano i risultati di aprile. Per una vera ripresa servono il rifinanziamento degli incentivi e la revisione della fiscalità sulle auto aziendali.

CONCESSIONARI: LA SITUAZIONE ATTUALE

“L’azzeramento della redditività aziendale nell’anno del Covid è stato il miglior risultato che si potesse raggiungere. Noi dealer abbiamo molti costi fissi, che necessitano di essere spalmati su grossi volumi. Avere pareggiato a fronte di un calo del fatturato mediamente del -25% significa che, fra ferie anticipate e cassa integrazione, siamo riusciti a comprimere i costi. Ormai i concessionari sopravvissuti alla grande crisi sanno fare i conti molto bene. Questo risultato è dovuto alla capacità di reazione dei dealer, ma anche alla grande paura delle Case di trovarsi senza rete e agli incentivi statali spiega subito De Stefani Cosentino.

Adolfo De Stefani Cosentino Federauto

Le differenze tra i brand generalisti e quelli premium? “I marchi generalisti fanno più fatica, mentre il premium va meglio. Trattando entrambi i settori la differenza l’ho vista, senza contare che l’auto di fascia alta ha una maggiore marginalità. In termini percentuali i generalisti hanno registrato un -27%, mentre il premium un -17%. Questo perché la pandemia ha impattato maggiormente su chi ha meno capacità di spesa, mentre i più abbienti se la passano ancora bene e possono ‘consolarsi’ con una macchina nuova, magari cambiando motorizzazione”.

CONCENTRAZIONE E TRANSIZIONE ENERGETICA

Due fenomeni particolarmente evidenti sono la concentrazione delle aziende (grazie alle acquisizioni) e, naturalmente la transizione energetica. “La concentrazione è un fenomeno non ancora concluso, anche perché è avvenuta solo al Nord del Paese, dato che i grandi gruppi sotto Firenze non vanno. Oltre che di concentrazione parliamo anche di razionalizzazione, visto che ci sono gruppi che anni fa avevano anche 6 ragioni sociali e ora le hanno ridotte il più possibile” sottolinea il presidente di Federauto.

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La transizione energetica, invece, mette i dealer di fronte a nuove difficoltà? “L’elettrico in generale pone il problema delle infrastrutture e della provenienza dell’energia. Per quanto riguarda noi concessionari, una vettura elettrica non ha il motore e, quindi, necessita di meno manutenzione. Alla depauperazione del post vendita si accompagna l’incognita del valore residuo, che rende molto complicato valutare l’usato. Mi auguro che venga incentivato anche l’usato elettrico risponde De Stefani Cosentino.

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LE PROSPETTIVE PER IL 2021

Secondo De Stefani Cosentino, la prospettiva per il 2021 è dura “perché una buona parte del margine del dealer viene dal post-vendita. Nel 2020 si è girato poco, basti pensare che le accise sui carburanti sono diminuite di 10 miliardi. Ci sarà, quindi, un calo dei tagliandi: invece di farlo ogni 6 mesi, si farà ogni 9 o 12. Il passaggio in officina è calato moltissimo. I lavori sulla carrozzeria hanno registrato un -28%, il gommista del -20%. C’è poi da considerare l’economia che procede a rilento e il crollo del turismo. Infine, credo che le Case automobilistiche quest’anno potranno aiutarci meno, perché stanno investendo moltissimo nella transizione dall’endotermico all’elettrico”.

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Allora come si può cambiare passo? “Favorendo l’auto aziendale, cosa che avrebbe un impatto positivo su tutto il parco circolante. Oltre la metà del parco italiano è sotto l’Euro 4. Nonostante l’avvio della transizione verso la sostenibilità, l’Italia ha ancora il parco circolante autovetture tra i più vecchi d’Europa, con un’età media di 11,5 anni contro gli 8 anni in UK e i 9 anni in Germania e Francia. L’età media è alta perché i privati che hanno una capacità di spesa limitata non riescono a cambiare l’auto. Le vetture aziendali, invece, alimentano un mercato dell’usato virtuoso, che immetterebbe tra i privati veicoli freschi ed Euro 6″ risponde De Stefani Cosentino.

La riforma della fiscalità auto che ci allinei agli altri Paesi europei è basilare. “La quota delle auto aziendali sul mercato italiano è la più bassa (36%) se confrontata con quella di Germania (62,9%), Regno Unito (54,2%), Francia (53,1%) e Spagna (49,8%) e un intervento sulla percentuale di detraibilità dell’Iva per gli acquisti effettuati da aziende e professionisti e sulla soglia di massima deducibilità dei costi, anche in ottica green, non è più rinviabile” conclude il presidente di Federauto.

(L’intervista completa è pubblicata sul numero di maggio di Fleet Magazine)

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